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S I P O N T O // inaugurazione intervento di EDOARDO TRESOLDI

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Venerdì 11 e sabato 12 marzo si terrà presso la Basilica di Santa Maria di Siponto l’inaugurazione dell’ultima opera di Edoardo Tresoldi promossa dal segretariato regionale MiBACT e dalla Sopraintendenza archeologica della Puglia.
Il progetto è stato realizzato dal giovane artista e costituisce uno degli esiti del progetto di valorizzazione del parco archeologico di Siponto (Manfredonia).


"Qui l’antico ha incontrato l’arte contemporanea - racconta Luigi La Rocca, Soprintendente Archeologo della Puglia - ma il contesto archeologico non ha fatto da sfondo o da semplice location per installazioni artistiche, piuttosto si è fuso con l’opera contemporanea, contribuendo a restituire la terza dimensione e i volumi originari ad architetture ormai scomparse".


Come affermato dal curatore Simone Pallotta:

“L’opera di Edoardo Tresoldi si configura come una maestosa scultura architettura in grado di raccontare i volumi della preesistente basilica paleocristiana e al contempo capace di vivificare, attualizzandolo, il rapporto tra l’antico e il contemporaneo. Un’opera che, scardinando la secolare diatriba del primato delle arti, sintetizza due linguaggi complementari in un unico, emozionante scenario”.



Programma

Venerdì 11 marzo (preview per la stampa)
15.30 visita su invito
17.00 instant video Committenza d’arte pubblica. Un racconto
17.20 talk e dibattito Ricostruire e comunicare con l’arte
19.00 concerto di musiche medievali
20.00 l’opera si illumina


Sabato 12 marzo
9.30 laboratorio con gli studenti delle scuole d’arte e di architettura
12.30 taglio del nastro



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Edward Hopper a Bologna

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Palazzo Fava, dal 25 marzo al 24 luglio 2016

Da venerdì 25 marzo 2016 a Palazzo Fava – Palazzo delle Esposizioni di Bologna
Genus Bononiae ospita la mostra

EDWARD HOPPER

Prodotta e organizzata da Fondazione Carisbo, Genus Bononiae. Musei nella Città e Arthemisia Group in collaborazione con il Comune di Bologna e ilWhitney Museum of American Art di New York, darà conto dell’intero arco temporale della produzione di Edward Hopper, dagli acquerelli parigini ai paesaggi e scorci cittadini degli anni ‘50 e ’60, attraverso più di 60 opere, tra cui celebri capolavori come South Carolina Morning (1955), Second Story Sunlight(1960), New York Interior (1921), Le Bistro or The Wine Shop(1909), Summer Interior (1909), interessantissimi studi (come lo studio per Girlie Show del 1941) che celebrano la mano di Hopper, superbo disegnatore: un percorso che attraversa la sua produzione e tutte le tecniche di un artista considerato oggi un grande classico della pittura del Novecento.

L’esposizione è curata da Barbara Haskell – curatrice di dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art – in collaborazione con Luca Beatrice. Il Whitney Museum ha ospitato varie mostre dell’artista, dalla prima nel 1920 al Whitney Studio Club a quelle memorabili del 1960, 1964 e 1980. Inoltre dal 1968, grazie al lascito della vedova Josephine, il Museo ospita tutta l’eredità dell’artista: oltre 3.000 opere tra dipinti, disegni e incisioni.

C’è chi lo ritiene un narratore di storie e chi, al contrario, l’unico che ha saputo fermare l’attimo – cristallizzato nel tempo – di un panorama, come di una persona. È stato lo stesso Edward Hopper (1882-1967) – il più popolare e noto artisti americano del XX secolo – uomo schivo e taciturno, amante degli orizzonti di mare e della luce chiara del suo grande studio, a chiarire la sua poetica: “Se potessi dirlo a parole, non ci sarebbe alcun motivo per dipingere”.

L’ARTISTA

Nato e cresciuto a Nyack – una piccola cittadina nello Stato di New York – Hopper studia per un breve periodo illustrazione e poi pittura alla New York School of Art con i leggendari maestri William Merritt Chase e Robert Henri. Si reca in Europa tre volte (dal 1906 al 1907, nel 1909 e nel 1910) e soprattutto le esperienze parigine lasciano in lui un segno indelebile, alimentando quel sentimento francofilo che non lo avrebbe mai abbandonato, anche dopo essersi stabilito definitivamente a New York, dal 1913.

Alto un metro e novanta, nonostante la forte presenza fisica, era famoso per la sua reticenza, scriveva o parlava pochissimo del suo lavoro. Scomparso all’età di ottantaquattro anni, la sua arte gode della stima della critica e del pubblico nel corso di tutta la carriera, nonostante il successo dei nuovi movimenti d’avanguardia, dal Surrealismo all’Espressionismo astratto, alla Pop art.

Nel 1948 la rivista Look lo nomina uno dei migliori pittori americani; nel 1950 il Whitney Museum organizza un’importante retrospettiva su di lui e nel 1956 il Timegli dedica la copertina.

Nel 1967, l’anno della sua morte, rappresenta gli Stati Uniti alla prestigiosa Biennale di San Paolo.

Da allora, l’opera di Hopper è stata celebrata in diverse mostre e ha ispirato innumerevoli pittori, poeti e registi. Eloquente il tributo del grande John Updike che in un saggio del 1995, definisce i suoi quadri “calmi, silenti, stoici, luminosi, classici”.



Orari
Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì, Sabato, Domenica: 10.00 - 20.00
Sede

Palazzo Fava
via Manzoni 2, Bologna


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“Tre padri” in una conversazione per la festa del papà

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Bari, Pinacoteca Metropolitana “Corrado Giaquinto”
sabato 19 marzo 2016
“Tre padri” in una conversazione per la festa del papà

In occasione della festa del papà, sabato 19 marzo 2016 alle ore 17:30, Giacomo Lanzilotta, Ispettore della Pinacoteca, terrà una conversazione sul tema
Abramo, Zaccaria e Giuseppe: tre idee di paternità in alcuni dipinti della Pinacoteca.

Mai come in questi giorni i temi della paternità, della famiglia, dei rapporti anche giuridici tra genitori e figli sono oggetto di vivaci discussioni e di grande interesse per l’opinione pubblica.
Prendendo spunto da alcune opere del Sei e Settecento presenti in Pinacoteca, la conversazione affronterà tre particolarissime figure di padri che nel corso dei secoli hanno ispirato numerosi capolavori della storia dell’arte, fino alle più recenti interpretazioni nella cinematografia internazionale: da Abramo messo alla prova del sacrificio di Isacco, all’incredulo Zaccaria padre del Battista, fino a Giuseppe, padre “putativo”, davanti al mistero dell’Incarnazione.

Ingresso libero in Pinacoteca a partire dalle ore 16:30


Pinacoteca metropolitana “Corrado Giaquinto”
Via Spalato, 19/Lungomare Nazario Sauro, 27 – IV piano Bari
Tel. 080/5412420 www.pinacotecabari.it

Per informazioni: Tel: 080/5412306 pinacoteca@cittametropolitana.ba.it

Ufficio Stampa: Tel. 080/5412427 pincorradogiaquinto@tiscali.it;

Alla Pinacoteca metropolitana di Bari si può arrivare in treno (dalla stazione 10/15 minuti a piedi), in aereo (30 minuti per giungere in centro città col taxi o col terminal), pullmann provenienti da varie destinazioni. Diversi autobus cittadini si fermano dinanzi all ‘ex Palazzo della Provincia.
Se si giunge in auto, è consigliabile lasciare la vettura nel grande parcheggio comunale “Pane e Pomodoro”, ubicato nel tratto sud del Lungomare, e di lì prendere la navetta B, che si ferma all’altezza del Palazzo della Regione, distante pochi metri dal Palazzo dell’ex Provincia dove, al IV piano, ha sede la Pinacoteca. Il parcheggio per 24 h e la navetta costano € 1,00.


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Giovanni Albanese. Altalena tra le stelle

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L’ARATRO inaugura la stagione espositiva del 2016 con una nuova mostra di Giovanni Albanese (Bari, 1955, vive a Roma), artista e regista cinematografico di fama internazionale che presenta un’installazione ideata come un’immersione leggera contenuta in un misterioso universo parallelo composto da costellazioni luminose e da presenze ludiche ed enigmatiche.
L’opera di Albanese, infatti, è sempre pensata come un gioco colto di trasformazione del senso e della natura delle cose, in una mutazione costante della presenza e del significato degli oggetti declinata mediante una raffinata rielaborazione in cui la visione stessa del gioco dialoga con la grande stagione delle avanguardie storiche all’interno di un’efficace e innovativa azione costruttiva.
In una visione sospesa tra de Chirico e Duchamp, Albanese inserisce dunque la presenza metaforica apparentemente assurda di un’altalena fiammeggiante collocata tra le geometrie cosmologiche dei suoi astri elettrici e delle sue eclissi di ombra e di fuoco. Come il demiurgo di un cosmo alternativo, quasi come il bambino dei frammenti di Eraclito, Albanese gioca così con le orbite e i campi magnetici, facendo ondeggiare la sua altalena tra le stelle, in un passaggio continuo tra presente e futuro dove il tempo stesso sembra annullarsi nel moto ondulatorio di un paradossale e metafisico eterno ritorno.

La mostra è in collaborazione con Cantine D'Uva, Larino; ONAV Campobasso; Olio Pignatelli, Monteroduni.

GIOVANNI ALBANESE
Nato a Bari nel 1955, vive e lavora a Roma. Artista e Regista è docente all’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel 2002 gli è stato assegnato il prestigioso “Premio Pino Pascali per l’Arte Contemporanea”.
Con l’opera “Costellazione” è presente alla 54^ Biennale di Venezia a Palazzo Bianchi Michiel con La Fondazione Pino Pascali. Nel Giugno/Luglio del 2009 ha esposto al Chelsea Art Museum di New York. Nel 2003 è uscito nelle sale il suo film “A.A.A.Achille” con cui ha vinto il Giffoni Film Festival.
Tra le sue mostre principali ricordiamo le personali al MACRO di Roma nel 2001, al Museo Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare (2002), inoltre la “XII Quadriennale Nazionale d’Arte”(1996). Nel 2011 prodotto da Rai Cinema e Lumiere è uscito nelle sale “Senza arte né parte”, suo secondo lungometraggio ambientato nel mondo dell’arte contemporanea. (due nomination ai Nastri d’Argento e vincitore del Nastro d’Argento per l’interpretazione di Giuseppe Battiston). Nel 2012 per il progetto “Re Place 2” realizza un’istallazione luminosa per la zona rossa della città dell’Aquila.

ARATRO- archivio delle arti elettroniche - laboratorio per l’arte contemporanea
2° piano- 2° edificio polifunzionale, Università del Molise, via De Sanctis 86100 Campobasso
Info: + 39 3385912482; aratrounimol@gmail.com – Dal 17 marzo al 18 aprile 2016
facebook: Aratro Università del Molise.


Giovanni Albanese. Altalena tra le stelle
a cura di Lorenzo Canova e Piernicola Maria Di Iorio
Inaugurazione: 17 marzo 2016 ore 17:30
dal 17 marzo al 18 aprile 2016


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COME FIORI: Incontro con IGINIO IURILLI | DALLA TERRA AL MARE

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SIC! ProgettAzioni Culturali

in collaborazione con
Palazzo Romano - Gioia del Colle|Alessandro Capurso photo

con il sostegno di
Teatro Comunale Rossini|Comune di Gioia del Colle

presenta
COME FIORI
Dialoghi intorno alle arti visive
25 gennaio|23 marzo 2016, ore 19.30
Foyer superiore Teatro Comunale Rossini Gioia del Colle
INGRESSO LIBERO


“Come Fiori” è un’antologia vivente che parla di arti visive in soggettiva. Un ciclo di appuntamenti in cui cinque protagonisti dialogheranno con il pubblico raccontando il loro percorso artistico ed umano con interventi multidisciplinari a sorpresa.

Lunedì 14 marzo, ore 19.30
IGINIO IURILLI|DALLA TERRA AL MARE
Artista poliedrico di lunga militanza, ha manifestato una forte propulsione verso la sperimentazione utilizzando varie tecniche e modalità espressive, approdando definitivamente alla scultura con particolare attenzione alle installazioni. Ha realizzanto opere di denuncia ecologica di forte impatto emotivo e visivo come: Bassa marea, installazione di cinque sculture bianche su un tappeto di sale, Wunderkammer, stanza con specchi e sculture su un tappeto di sale e il Megariccio.


Interverrà, tra gli altri, Christian Caliandro

Per maggiori informazioni: sic.progettazioniculturali@gmail.com – tel. 349.6457011


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HELMUT NEWTON. FOTOGRAFIE WHITE WOMEN / SLEEPLESS NIGHTS / BIG NUDES

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dal 7 aprile a 7 agosto 2016

La Casa dei Tre Oci, un progetto di Fondazione di Venezia, condotto in partnership conCivita Tre Venezie, con questa mostra conferma il proprio ruolo nel panorama della cultura artistica e della fotografia in particolare, con i propri spazi esclusivamente dedicati alla fotografia.

Dal 7 aprile al 7 agosto 2016, la mostra Helmut Newton. Fotografie. White Women / Sleepless Nights / Big Nudes presenta, per la prima volta a Venezia, oltre 200 immagini di Helmut Newton, uno dei fotografi più importanti e celebrati del Novecento. L’esposizione, curata da Matthias Harder e Denis Curti, organizzata da Civita Tre Venezie in collaborazione con la Helmut Newton Foundation, è frutto di un progetto, nato nel 2011 per volontà di June Newton, vedova del grande fotografo. La rassegna raccoglie le immagini di White Women, Sleepless Nights eBig Nudes, i primi tre libri di Newton pubblicati alla fine degli anni ‘70, volumi oggi considerati leggendari e gli unici curati dallo stesso Newton. Nel selezionare le fotografie, Newton mette in sequenza, l’uno accanto all’altro, gli scatti compiuti per committenza con quelli realizzati liberamente per se stesso, costruendo una narrazione in cui la ricerca dello stile, la scoperta del gesto elegante sottendono l’esistenza di una realtà ulteriore, di una vicenda che sta allo spettatore interpretare.

White Women
In White Women, pubblicato nel 1976, Newton sceglie 81 immagini (42 a colori e 39 in bianco e nero), introducendo per la prima volta il nudo e l’erotismo nella fotografia di moda. In bilico tra arte e moda, gli scatti sono per lo più nudi femminili, attraverso i quali presentava la moda contemporanea. Queste visioni trovano origine nella storia dell’arte, in particolare nella Maya desnuda e nella Maya vestida di Goya, conservati al Prado di Madrid.La provocazione lanciata da Newton con l’introduzione di una nudità radicale nella fotografia di moda è stata poi seguita da molti altri fotografi e registi e rimarrà simbolo della sua personale produzione artistica.

Sleepless Nights
Sono ancora le donne, i loro corpi e gli abiti, i protagonisti di Sleepless Nights, pubblicato nel 1978. In questo caso, però, Newton si avvia a una visione che trasforma le immagini da foto di moda a ritratti, e da ritratti a reportage quasi da scena del crimine. È un volume a carattere più retrospettivo che raccoglie 69 fotografie (31 a colori e 38 in bianco e nero) realizzate per diversi magazine (Vogue, tra tutti) ed è quello che definisce il suo stile rendendolo un’icona della fashion photography. I soggetti, generalmente modelle seminude che indossano corsetti ortopedici, donne bardate con selle in cuoio, nonché manichini per lo più amorosamente allacciati a veri esseri umani, vengono colti sistematicamente fuori dallo studio, spesso in atteggiamenti provocanti, a suggerire un uso della fotografia di moda come puro pretesto per realizzare qualcosa di totalmente differente e molto personale.

Big Nudes
Con questo volume del 1981, Newton raggiunge il ruolo di protagonista nella storia dell’immagine del secondo Novecento. I 39 scatti in bianco e nero di Big Nudes inaugurano una nuova dimensione della fotografia umana: quella delle gigantografie che, da questo momento, entrano nelle gallerie e nei musei di tutto il mondo. Nell’autobiografia dell’artista pubblicata nel 2004, Newton spiega come i nudi a figura intera ripresi in studio con la macchina fotografica di medio formato, da cui ha prodotto le stampe a grandezza naturale di Big Nudes, gli fossero stati ispirati dai manifesti diffusi dalla polizia tedesca per ricercare gli appartenenti al gruppo terroristico della RAF (Rote Armee Fraktion).
Venezia, gennaio 2016


Ufficio stampa
Anna Defrancesco (CLP Relazioni Pubbliche)
tel. 02 36 755 700


Ufficio stampa Civita Tre Venezie
Giovanna Ambrosano
041/2725912; 338/4546387

Orari
Tutti i giorni 10.00 – 19.00; chiuso martedì
Info e Prenotazioni
tel. +39 041 24 12 332

Call center prenotazioni biglietti: 199-757519

La prenotazione è obbligatoria per gruppi superiori alle 15 persone.
Diritto di prenotazione singoli e gruppi: €1,50 / biglietto
Biglietti
12,00 € intero
10,00 € ridotto studenti under 26 anni, over 65, titolari di apposite convenzioni
8,00 € ridotto speciale gruppi superiori alle 15 persone
24,00 € ridotto famiglia (2 adulti + 2 under 14)
5,00 € ridotto scuole

Gratuito, bambini fino ai 6 anni, un accompagnatore per ogni gruppo, disabili e accompagnatore, due insegnanti accompagnatori per classe, giornalisti con tessera, guide turistiche


Note biografiche Helmut Newton
Helmut Neustätder, in arte Helmut Newton, nasce a Berlino il 31 ottobre del 1920 da una ricca famiglia di origine ebrea. L’ambiente della borghesia berlinese gli permette di seguire le proprie passioni e di avvicinarsi al mondo della fotografia fin dalla giovane età: a soli 12 anni acquista infatti la sua prima macchina fotografica. Con la diffusione delle leggi razziali naziste, lascia la Germania nel 1938 e trova temporaneamente rifugio a Singapore, ma poco dopo si vede internato ed espulso in Australia dalle autorità britanniche. A Sydney si arruola con l’esercito australiano per combattere nella II Guerra Mondiale. Grazie alla devozione nei confronti del paese che lo ospita, nel 1946 ottiene la cittadinanza australiana, e nel 1948 conosce e sposa l’attrice e fotografa June Brunnell (in arte June Browne o Alice Springs), alla quale resterà legato per oltre 50 anni. Dopo la guerra lavora come fotografo freelance a Melbourne, collaborando con diverse riviste tra cui Playboy. Nel 1961 si trasferisce a Parigi, dove inizia a conoscere fama e popolarità grazie ai suoi scatti, pubblicati dalle più note riviste di moda internazionali comeVogue, Elle, GQ, Vanity Fair e Marie Claire, ed esposti in tutto il mondo. Nel 1976 pubblica il suo primo volume di fotografie White Women, immediatamente osannato dalla critica per il rivoluzionario gusto estetico, segnato da un erotismo predominante. Raggiunge l’apice della carriera e della fama a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 con le serie Sleepless Nights e Big Nudes, quando inizia inoltre a lavorare per grandi firme come Chanel, Versace, Blumarine, Yves Saint Laurent, Borbonese e Dolce&Gabbana.
Conclude la sua carriera nel 1984, realizzando con Peter Max il video dei Missing Persons,Surrender your Heart. Si ritira così a vita privata, vivendo tra Montecarlo e Los Angeles. Muore il 23 giugno del 2004, a 83 anni, in un incidente stradale a bordo della sua Cadillac.opo Sguardo di Donna. Da Diane Arbus a Letizia Battaglia. La passione e il coraggio, che termina il 10 gennaio, Tre Oci/Tre Mostre, format di successo giunto alla quarta edizione, inaugura la stagione espositiva 2016 venerdì 22 gennaio (vernice stampa 11.00-15.00 e inaugurazione 18.00-21.00).

Tre Oci/Tre Mostre è un percorso di ricerca articolato su più livelli, proponendo un percorso visivo di confronto tra i linguaggi contemporanei e la grande tradizione della fotografia veneziana. Tre proposte espositive differenti fra loro che cercano d’interpretare l’essenza della fotografia di oggi in una logica che si muove verso il superamento dei generi e la trasversalità.
Non si cerchi quindi di trovare un rigido filo conduttore, se non quello dell’originalità e dell’apertura verso nuove esperienze e tendenze, nella prospettiva, fortemente voluta dal direttore artistico Denis Curti, di valorizzare le eccellenze territoriali.
Al pianterreno della Casa il programma espositivo del Circolo Fotografico La Gondola si articolerà in tre sezioni, curate da Manfredo Manfroi. Lo specchio di Alice, ispirandosi al titolo del racconto di Lewis Carroll “Attraverso lo specchio”, intende trattare il potere dell’immagine fotografica di “oltrepassare” se stessa, come nello specchio di Alice, e di introdurre chi guarda in un mondo in cui tutto assume una dimensione allusiva, incerta e aperta su svariati orizzonti. NeroSuBianco è, invece, un compendio significativo delle tendenze espressive della fotografia italiana nel decennio 1950-1960, con le celebri immagini di Sergio Del Pero, Mario Giacomelli, Paolo Monti, Fulvio Roiter. Infine, una stanza è dedicata alle vincitrici della lettura portfolio Sguardi Femminili del 2015: Francesca Cesari con il lavoro In the room, Monia Perissinotto con Istanbul, Caterina Burlini con Flora. Nei saloni del piano nobile, la mostra Visions of Venice, curata da Alessandro Luigi Perna: 75 immagini di Venezia (dal piccolo al grande formato) realizzate da Roberto Polillo nell'ambito di un progetto personale pluriennale dedicato alla città, ritratta come un luogo dell'anima, eterno e magico.
Al secondo piano la mostra, a cura di Renato Corsini, di Giulio Obici, Il flâneur detective(titolo tratto dalla raccolta di racconti edita postuma, nel 2015, da Marsilio Editori). Per oltre quarant'anni editorialista e inviato speciale, come fotografo ha rivolto lo sguardo alle radici del Palazzo, la strada, là dove scorre la vita della gente, senza smarrire il piglio indagatore e il rigore analitico esercitati nel mestiere di giornalista.


pubblica:

Stairway to heaven. Tommaso Lisanti | Maurizio Mochetti

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La galleria PIOMONTI arte contemporanea è lieta di presentare la mostra Stairway to heaven con le opere di Tommaso Lisanti e Maurizio Mochetti che inaugura il 16 marzo 2016 alle ore 18.
Come dice Ignazio Licata nel testo in catalogo: “…Che la scienza sia l’asse fondante della nostra vita ormai non v’ è alcun dubbio. Piuttosto è generalmente poco esplorato l’immaginario che la scienza produce, e che si deposita negli anfratti luccicanti della costruzione analitica del mondo, un universo specchio rovesciato che conserva i segni per trasformarli in simboli. La scommessa di Pio Monti è come sempre di quelle apparentemente impossibili: far convivere nello stesso luogo due artisti posti idealmente su versanti opposti di un confine fissato da ciò che riconosciamo come l’essenza della modernità. Gran parte del lavoro di Mochetti è centrato sulla luce come forma dello spazio e del tempo (intuizione che vale da sola tutti i tentativi di spiegare Einstein!), intesa come fatto fisico, senza alcun retaggio mistico o metafisico…”. In mostra l’opera F 104 Starfighter, 1985. L’aereo è il punto di origine di un cono prodotto dalla combustione solidificata del suo motore. Il cono diventa supporto dell’aereo e la sua direzione è determinata dalla direzione di volo dell’aereo stesso, che potrebbe essere qualsiasi.
“…Diverso l’approccio di Lisanti, situato su confini invisibili di rotte stellari a noi proibite. La sua confidenza intima e quotidiana con gli alieni lo mette al riparo da ogni inquisizione oggettiva. I suoi alieni infatti non possono essere fotografati, ma soltanto dipinti…”. Entrando in galleria vi ritroverete in una vasta galassia di mondi sconosciuti, prodotti da questo strano artista visionario, che in questo periodo ha scelto di vivere al suo paese natale, a Ferrandina dove forse per la prima volta ha incontrato i suoi alieni.


PioMonti arte contemporanea
piazza Mattei 18, Roma
Lun: dalle 15 alle 20 / dal Mart. al Sab: dalle 11 alle 20


pubblica:

SonOra

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SonOra
Collettiva d’arte contemporanea
A cura di Loredana Cacucciolo e Pietro De Scisciolo
23 aprile 2016 ore 19:00

Siamo abituati a pensare a una mostra d’arte come a un progetto chiuso e definito, dove un soggetto (il curatore o promotore) si assume il compito di scegliere a priori uno o più artisti, di individuare un tema e di creare, così, un organismo fatto e finito, pronto a essere esibito, con una discreta sicurezza di risultato, al pubblico. Quando, però, si esce dalle piste tracciate e ci si spinge sul terreno delle sperimentazioni culturali, gli esiti possono essere sorprendenti: è l’esperienza di SonOra un evento espositivo e sociale che capovolge le consuete modalità organizzative. L’obiettivo non è la sintesi, ma l’espansione: ogni partecipante è al tempo stesso artista e curatore del luogo a esso affidato.

Inaugura il 23 Aprile 2016 ore 19,00 la seconda tappa del progetto itinerante SonORA, collettiva d’arte contemporanea a cura di Loredana Cacucciolo e Pietro De Scisciolo, in collaborazione con Nicola Zilio, le Officine Culturali Arthemisia e IL SITO DELL'ARTE.

Un nuovo progetto espositivo collettivo che vedrà protagonisti un gruppo di artisti di caratura nazionale e internazionale, attivi nell’ambito dell’arte contemporanea. Il maestoso Palazzo Marchesale di Laterza (TA) Museo MuMa è la location scelta per ospitare questo secondo step di SonORa il cui scopo è quello di reinterpretare artisticamente i contenitori storici dislocati nelle più belle località pugliesi, nei quali, artisti riconosciuti sono invitati ad installare la loro arte. SonOra si pone come un viaggio tra passato e presente, un punto di contatto nel tempo dove l’arte contemporanea diventa protagonista e dove l’elemento SUONO si pone a nuova lettura, inteso non solo come elemento di emissione ‘rumore’, ma anche come affermazione dell'io, della condizione individuale di ciascuno, nell'archetipo concetto ‘Sono Ora’.

Artisiti:
ALBA AMORUSO, LOREDANA CACUCCIOLO, FIORMARIO CILVINI, ROSA CONSALVO, PIETRO DE SCISCIOLO, GIANNI DE SERIO, ANTONIO GIANNINI, WALTER LOPARCO, FRANCESCO MANCINI, MAURO ANTONIO MEZZINA, ULRICH JOHANNES MUELLER, MASSIMO NARDI, MARIO PUGLIESE, MARINA QUARANTA, FRANCESCO SANNICANDRO

La rassegna sarà corredata di catalogo ragionato delle opere, edito EDIZIONI INSIEME e gode già di significativi Patrocini:

REGIONE PUGLIA
ASSESSORATO AL MEDITERRANEO, CULTURA E TURISMO
COMUNE DI LATERZA
ACCADEMIA BELLE ARTI BARI
ACCADEMIA BELLE ARTI CATANZARO
UNIVERSITA' DEGLI STUDI ALDO MORO DI BARI
PARCO DELL'ALTA MURGIA
TOURING CLUB ITALIANO
SEMINARIO VESCOVILE GRAVINA DI PUGLIA
OFFICINE CULTURALI ARTHEMISIA
AMICI DELLA FONDAZIONE ETTORE SANPOMARICI

Sponsor Ufficiale:
GRUPPO MAFFEI
www.gruppomaffei.com

Scheda tecnica:
Palazzo Marchesale di Laterza (Ta)
Piazza Plebiscito – centro storico
SonOra. Mostra d’arte contemporanea
A cura di Loredana Cacucciolo e Pietro De Scisciolo
in collaborazione con Nicola Zilio, le Officine Culturali Arthemisia e IL SITO DELL'ARTE
23 aprile – 28 maggio 2016
Inaugurazione: 23 aprile 2016 ore 19:00

Orario visita
Tutti i giorni dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 17:00 alle 19:00
Lunedi chiuso
Ingresso libero

Info e contatti
Loredana Cacucciolo, curatore
loricacucciolo@gmail.com

Press office
Amalia Di Lanno
info@amaliadilanno.com

VITTORINO CURCI - Giornata Mondiale della Poesia

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SIC! ProgettAzioni Culturali
Palazzo Romano - Gioia del Colle
Alessandro Capurso photo
con il sostegno di Teatro Comunale Rossini e Comune di Gioia del Colle

in occasione della Giornata Mondiale della Poesia UNESCO

presentano

VITTORINO CURCI
Lunedì 21 marzo, ore 19.30
Teatro Comunale Rossini, Gioia del Colle

Il poeta, musicista e pittore, accompagnato da Pino Scaglione, condurrà il pubblico in un viaggio imperdibile all’interno del suo universo artistico, tra reading poetico e partiture sonore improvvisate eseguite al sassofono.

Ingresso libero.

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Vittorino Curci vive a Noci, in provincia di Bari, dove è nato nel 1952. La sua formazione artistica si sviluppa negli anni Settanta all’Accademia di Belle Arti di Roma, città in cui espone i suoi primi lavori di arte concettuale alla Galleria Jartrokor diretta da Sergio Lombardo. Nel ‘79 viene inserito nell’8ª Antologia Ipersperimentale Geiger, a cura di Adriano Spatola, e successivamente inizia a collaborare con la rivista TamTam e partecipa a diverse iniziative promosse dallo stesso Spatola in Italia e all’estero.
A cominciare dalla seconda metà degli anni Ottanta dà corso a una lunga serie di collaborazioni con musicisti jazz d’avanguardia. In questo periodo realizza numerose performance di forte impatto teatrale in cui utilizza oggetti scenici, attori, musiche originali e scenografie d’avanspettacolo (con forti reminiscenze delle serate futuriste). Nel ’94 è tra i fondatori a Reggio Emilia del Gruppo di poesia sonora Baobab. Collabora alle pagine culturali di diversi quotidiani pugliesi e alla rivista «Nuovi Argomenti». Nel ’99 ha vinto il Premio Montale di poesia per la sezione “Inediti”. Numerose le pubblicazioni di poesia e prosa.
Le sue ultime raccolte di poesia: La stanchezza della specie (LietoColle, 2005), Un cielo senza repliche (LietoColle, 2008), Il frutteto (LietoColle, 2009), Il pane degli addii (La Vita Felice, 2012). Ha anche pubblicato un libro di poetica, La ferita e l’obbedienza (I libri di Icaro, 2008) e uno di racconti ispirati da luoghi e personaggi della sua terra, Era notte a Sud (Besa, 2007).
In campo musicale ha fondato e diretto l'Europa Jazz Festival di Noci (1989-2000), ha promosso gli incontri e le sedute di improvvisazione del collettivo A Bao A Qu (1996-1999), ha collaborato con numerosi musicisti italiani e stranieri tra cui Carlo Actis Dato, Conny Bauer, Peter Brotzmann Eugenio Colombo, Charles Gayle, Martin Joseph, Peter Kowald, Sergej Kuryokhin, Steve Lacy, Joelle Leandre, Gianni Lenoci, Marcello Magliocchi, Sabir Mateen, Pino Minafra, Louis Moholo, Maggie Nicols, Maresuke Okamoto, Roberto Ottaviano, Sakis Papadimitriou, Evan Parker, William Parker, Ernst Petrowsky, Ernst Reijseger, Antonello Salis, Mario Schiano, Gunther Sommer, Keith Tippett e Bruno Tommaso.


pubblica:

BODIFICATION il corpo come oggetto culturale

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ph. Chiara Mazzocchi

Venerdì 18 marzo alle ore 18, inaugura al DoubleRoom arti visive di Trieste,“BODIFICATION il corpo come oggetto culturale”, un’ampia collettiva dedicata alle modificazioni del corpo contemporaneo, trasformazioni che rendono sempre più complessa e frammentaria una possibile ricostruzione e ridefinizione del corpo d’oggi. Le efficaci rappresentazioni in mostra, attraverso vecchi e nuovi media, indagano i nuovi significati e i nuovi limiti del corpo umano con immagini che seducono l’occhio e che restituiscono le mutazioni del singolo e i cambiamenti della società contemporanea, percezioni e processi che sviluppano e offrono il corpo sempre più come oggetto culturale e progetto sociale. L’esposizione, curata da Massimo Premuda e realizzata in collaborazione con COLLAAB, Combiné, Gruppo78 e Simona Schiavi Art Gallery, presenta sei artisti focalizzati sull’interesse per il nostro involucro terreno che va dagli spettacolari quadri di Raffaella Busdon alle delicate foto di Nika Furlani, dagli spiazzanti video di Chiara Mazzocchi alle forti immagini di Roberto Peccianti, dagli inquietanti quadri di David Dalla Venezia fino alle divertite foto di Davide Maria Palusa.


In mostra i quadri di Raffaella Busdon che costituisce addirittura una seconda pelle su cui tatuare i contrasti più allarmanti della nostra società. La rigorosa ricerca pittorica della Busdon, tutta tesa alla sperimentazione di nuove tecniche e materiali, fa emergere opere di grandi dimensioni in cui la pittura ad olio su policarbonato va ad aderire come una lucida e trasparente fotografia ai collage di ritagli di giornale con scottanti fatti di forte attualità. Veri e propri “Innesti” in cui sui giovani d’oggi vengono impressi immagini di guerra e religione, premonitori di scelte di vita, e come scrive Maria Campitelli: “E di innesti veramente si tratta, immettendo nei giovani corpi classicamente concepiti, immaginari estranei: fiori, esplosioni, moschee, portaerei… che imprimono una sorta di marchio di riconoscimento, indicano un filone, un orientamento da coltivare che diventerà scelta di vita. Sono le primavere che si affacciano sul percorso esistenziale tutto da compiere. Giovani dunque con il destino impresso nel corpo…”


Apparentemente simile, ma diametralmente opposta, è invece “Herbarius”, il ciclo fotografico di Nika Furlani che, in una ricerca simbiotica fra corpo umano e natura, elabora nudi contemporanei su cui proietta in presa diretta con l’ausilio dell’episcopio, elementi vegetali e floreali che risvegliano sulla pelle nuda percorsi esistenziali e ricordi primordiali legati a un inconscio ormai sopito. E come sottolinea Katarina Sadovski: “Il fulcro della sua espressione fotografica è rappresentato dal corpo, ornato da frammenti estratti dalla natura che evocano dei frattali e ci introducono in una dimensione senza tempo. Per quest’artista, il corpo umano è l’elemento compositivo centrale, fortemente ancorato al fondo della fotografia, al quale Nika conferisce una dimensione senza tempo sottraendogli lo sfondo. In questo modo, il corpo non è più definito né dal luogo, né dal tempo, e gli osservatori vengono introdotti nel mondo lirico e ideativo della fotografa.”


E sempre della relazione fra corpo e natura, ma decisamente in chiave simbolica e concettuale, ci parla anche la videoartista e performer Chiara Mazzocchi che, attraverso i suoi “Selfportrait”, lungo ciclo di appunti video in forma di autoritratto, ci indica un corpo che vuole caparbiamente rifiorire. “Bloom again” (sbocciare di nuovo) e “Flower” sono dei video stratificati di messaggi e significati che sommano l’azione performativa dell’artista con la sua restituzione in immagini in movimento. Nel primo video il viso dell’artista, completamente ricoperto da mazzi di fiori che provengono dai flutti del mare, ci proietta in una sorta di ri-nascita di Venere, mentre nel secondo l’estrema simbiosi dell’artista con la natura ostruisce le aperture del suo corpo rendendola incapace di comunicare con i suoi simili e l’esterno se non attraverso il puro gesto.


Se la Mazzocchi ci fa riflettere sulla ridefinizione dell’individuo con il suo corpo, Roberto Peccianti ci parla invece del corpo senza il corpo. Le sue immagini fotografiche sono potenti ed evocative, sembra quasi di trovarsi sulla scena di un crimine, in cui pochi elementi: una parrucca, un paio di scarpe, una cintura e un posacenere, evocano corpi e presenze, e azioni da poco terminate. Le foto di Peccianti, dal forte immaginario feticistico, ci parlano di ciò che resta e presentano chiari elementi maschili e femminili che sembrano non incontrarsi e non dialogare se non nella reciproca adorazione; oggetti in attesa di essere utilizzati che, come nel caso del feticismo, spostano l’interesse dalla persona viva nella sua interezza a un suo sostituto: una parte del corpo, un indumento, o qualsiasi altro oggetto inanimato.


E analogamente si muove anche David Dalla Venezia con i suoi dipinti che, come nelle nature morte seicentesche, trasformano il particolare in protagonista, elevando le diverse parti anatomiche alla stessa dignità di una persona: una mano, un ventre, un braccio, un pene o un piede. Un corpo fatto a pezzi, o sempre in chiave feticistica, un singolo particolare che assurge al totale? Particolari anatomici emergono da fondi scuri colpiti da luci teatrali disorientando lo spettatore, colpi di riflettori caravaggeschi che fanno assurgere loro nuovi significati proprio perchè decontestualizzati dal corpo e, proprio come in un ready-made, una parte del corpo abituale, come tutti noi lo conosciamo, viene isolata dal suo contesto funzionale, defunzionalizzato e rifunzionalizzato tramite il solo atto di selezione dell’artista.

In questa direzione, ma decisamente in chiave pop e divertita, si muove Davide Maria Palusa che chiude la mostra con una ricerca fotografica al limite della grafica. Una serie ironica, ma inquietante, di particolari anatomici viene catturata, elaborata e moltiplicata all’infinito in un gioco caleidoscopico di immagini che amplificano e catturano lo spettatore, e allo stesso appiattiscono l’esplosiva carica vitale del corpo in una texture che diventa estetica e ornamento, quasi mattonelle da bagno pronte a strizzarci l’occhio mentre siamo sotto la doccia. Palusa ci fa riflettere così in modo del tutto ironico sull’indigestione di immagini del corpo umano, e suoi derivati, di cui ci bombardano ogni giorno i nuovi e vecchi media, creando reazioni contrarie, che vanno dalla cieca attrazione fino a un’appassionata repulsione.

18 marzo > 27 maggio 2016
BODIFICATION
il corpo come oggetto culturale
Raffaella Busdon, David Dalla Venezia, Nika Furlani,
Chiara Mazzocchi, Davide Maria Palusa, Roberto Peccianti
a cura di Massimo Premuda
in collaborazione con COLLAAB, Combiné, Gruppo78, Simona Schiavi Art Gallery
con l’adesione di Casa dell’Arte

DoubleRoom arti visive
via Canova 9, 34129 Trieste
lunedì > venerdì 17-20
349 1642362 – doubleroomtrieste@gmail.com

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MARTINA VANDA | Le Grand Bo

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MARTINA VANDA | Le Grand Bo
a cura di Martina Adami
Inaugurazione mercoledì 23 marzo 2016 ore 18,30

Il 23 marzo inaugura presso gli spazi di Interno 14 la mostra personale di Martina Vanda, Le Grand Bo. La mostra, a cura di Martina Adami, presenta una selezione di disegni, collage, libri d’artista e sculture in ceramica che rivelano la versatilità di un’artista che sa muoversi con disinvoltura attraverso un’ampia varietà di tecniche e materiali.

Il disegno è il mezzo di espressione privilegiato da Vanda, un linguaggio personale e spontaneo che si stratifica come i pensieri e le emozioni, spesso senza una linearità.
Anche la porcellana, insieme al foglio di carta, diviene un’estensione del pensiero, una superfice su cui tracciare il percorso segreto della propria intimità.
Nei suoi lavori emerge una giocosa quotidianità, condita da diversi ingredienti: irriverenza, ironia, paradosso, provocazione beffarda e la libertà da preconcetti comuni.
La componente narrativa è presente tanto nei singoli lavori, quanto nelle installazioni, dove diventa libera e fluida, così che allo spettatore sia affidata l’opportunità di trovare il proprio ordine.
La mostra si caratterizza per un linguaggio espositivo originale che l’artista ha elaborato appositamente per gli spazi di Interno 14, con l’intento di far vivere allo spettatore un’esperienza. I libri d’artista, le porcellane e i lavori su carta esplodono ma in modo composto, organizzati assecondando accostamenti estetici, semantici e di colore. In Le Grand Bo il disegno invade lo spazio per diventare luogo di ricerca aperto al coinvolgimento e all’interazione fisica del pubblico.

MARTINA VANDA è artista illustratrice, nata a Roma nel 1978, dove attualmente vive e lavora. La sua pratica artistica si fonda sul disegno fino a comprendere pittura, collage, scultura in ceramica, libri d’artista e picture books. Ha all'attivo premi e riconoscimenti internazionali tra cui la Mostra Illustratori di Bologna (2016, 2015 e 2012), la Biennale di Bratislava (2012), CJBook Award Korea (2010), Premio Qwerty (2010) e La Biennale Giovani Artisti d'Europa e del Mediterraneo. I suoi picture books sono pubblicati in Italia, Francia, Spagna, Messico, Cile e Cina e dal 2012 dirige le autoedizioni della TunnellingP. Nel 2015 e 2016 è guest artist al 798 Art Festival di Pechino. Nella sua attività l’artista vanta diverse mostre personali e collettive in Italia e all'estero.


INFO
Martina Vanda. Le Grand Bo
A cura di Martina Adami
Inaugurazione mercoledì 23 marzo 2016 ore 18,30
Fino al 2 aprile
Interno 14, Via Carlo Alberto 63, Roma

L'iniziativa non si prefigge finalità commerciali di alcun genere, ma fa parte delle attività culturali dell'associazione. L'evento sarà strettamente su invito e prenotazione: mandare una mail a uffstampaaiac@presstletter.com


Associazione Italiana di Architettura e Critica

UFFICIO STAMPA AIAC _ Roberta Melasecca
uffstampaaiac@presstletter.com | tel. 349 4945612
per info eventi: www.presstletter.com


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Jáchym Fleig. RISE

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RizzutoGallery è lieta di presentare RISE - mostra personale di Jáchym Fleig (1970, Villingen-Schwenningen - Germania).

L’artista, che ha all’attivo numerose mostre in gallerie e spazi pubblici ed è reduce da due personali al Museum Biedermann di Donaueschingen (2015) e al Kiosk am Reileck di Halle (2016), si prepara alla sua prima esposizione in Italia.
L’inaugurazione sarà giovedì 31 marzo alle ore 19 e la mostra resterà visitabile fino al 30 aprile.
Alla RizzutoGallery Fleig presenterà alcune tra le sue opere più importanti, già esposte in Kunstverein e Musei tedeschi, e realizzerà installazioni site-specific appositamente pensate per la galleria.

Nelle opere di Fleig il concetto tradizionale di scultura viene esteso in ciò che può essere deliberatamente legato al suo rispettivo ambientale. L’integrazione tra corpo scultoreo e l'ambiente circostante dà al lavoro il carattere di una installazione temporanea, soggetta alle condizioni esterne che la sottopongono a continui cambiamenti.

Le sculture di Fleig , come strutture organiche in uno stato di proliferazione e crescita, si sviluppano invadendo lo spazio che le ospita: strutture di sostegno, pilastri, muri, pavimenti, finestre, soffitti, diventano per l’Artista potenziali luoghi di ancoraggio delle sue installazioni, in alcuni casi avvinghiate – come corpi parassitari o concrezioni organogene - alla struttura esterna degli edifici degli spazi espositivi e museali, capaci di interrompere, talvolta in modo inquietante, la normalità dei luoghi conosciuti, degli spazi urbani sicuri e definiti.
Realizzate in cemento, calcestruzzo, gesso, legno e poliuretano, le opere di Fleyg - sebbene costituite da materiali molto simili a quelli degli ambienti ospitanti - appaiono leggere e brulicanti di vita; usati in maniera non convenzionale, questi comuni materiali da costruzione danno luogo a forme sorprendenti, capaci di evocare una forte risposta emotiva, e di creare un singolare contrasto con l’elemento architettonico che le ospita, in una sorta di confronto e di competizione tra leggero e pesante, organico e inorganico, biomorfico e antropico.

Ma ciò che emerge dalla scultura concettuale di Fleig è anche una riflessione sul limite sottile che esiste tra crescita e decadenza, tra ordine e caos, tra la sicurezza di ciò che è conosciuto e l’incertezza dell’ignoto, là dove la permanenza appare minacciata dalla circolazione degli stati effimeri.

RISE – Jáchym Fleig
Opening Giovedì 31 Marzo 2016 – ore 19
visitabile fino al 30 Aprile 2016
dal martedì al sabato 16.00 - 20.00
RizzutoGallery – Palermo
via Monte Cuccio 30

Per informazioni:
Eva Oliveri +39 348.3622577
evaoliveri@rizzutoarte.com
Tiziana Pantaleo +39 091 526843
tizianapantaleo@rizzutoarte.com


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RizzutoGallery (Palermo, Italy) is pleased to present RISE - personal exhibition of Jáchym Fleig (1970, Villingen-Schwenningen - Germany).

The artist, who has already realized numerous exhibitions in galleries and public spaces and is back from two important solo at the Museum Biedermann in Donaueschingen (2015) and the Kiosk am Reileck in Halle (2016), is preparing for his first exhibition in Italy.
The opening will be on March 31 at 7.00 pm and the exhibition will remain open until April 30.
At RizzutoGallery, Fleig will present some of his most important artworks, already exhibited in Kunstverein and German museums, and he will create site-specific installations specifically designed for the Gallery.

In the works of Fleig the traditional concept of sculpture is extended into what can be deliberately linked to its respective environment.
The integration between sculpture and environment gives to the work the character of a temporary installation, that - subjected to external conditions - undergo constant change.

Fleig's sculptures develop as organic structures in a state of proliferation and growth, invading the space that houses them: support structures, pillars, walls, floors, windows, ceilings, become for the Artist potential points of anchorage of his installations, that, in some cases, are clinging to the outside of buildings of exhibition spaces and museums - as parasitic bodies or organogenic concretions - capable of interrupting, sometimes eerily, the normality of the known places, of the urban spaces safe and defined.

Made of cement, concrete, plaster, wood and polyurethane, the artworks of Fleyg - although consisting of very similar materials to those of the hosting environments - appear lightweight and full of life; these common building materials, used in an unconventional way, result in amazing shapes that evoke a strong emotional response, and create a striking contrast with the architectural element, in a kind of confrontation and competition between lightweight and heavy, organic and inorganic, biomorphic and anthropic.

But what emerges from the conceptual sculpture of Fleig is also a reflection on the fine line that exists between growth and decay, between order and chaos, between the safety of what is known and the uncertainty of unknown, where the permanence appears threatened by the circulation of the ephemeral states .

RISE – Jáchym Fleig
Opening Thursday, March 31, 2016 - 7 p.m.
until April 30, 2016
RizzutoGallery - Palermo via Monte Cuccio 30

For information:
Eva Oliveri +39 348.3622577
evaoliveri@rizzutoarte.com
Tiziana Pantaleo +39 091 526843
tizianapantaleo@rizzutoarte.com



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Vincenzo Castella. Metropoli Terra Di Bari

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Museo della Fotografia Politecnico di Bari
Via Orabona, 4 - 70125 Bari

21 Marzo 2016 ore 10.00
mostra di Vincenzo Castella "Metropoli Terra Di Bari"


METODOLOGIA DELLA CONOSCENZA
L'immagine della Metropoli Terra di Bari osservata dall'alto e recepita dall'occhio e dalla mente di Vincenzo Castella, integra le visioni di questa Terra proiettate al 2035 dei membri del Comitato Scientifico del Piano Strategico BA2015. Gli scatti che seguono rappresentano l'analisi visiva di un grande Fotografo operata su un territorio in divenire, un insieme vivo di elementi, di particolari, di contrasti, una miscela che si trasforma e trasforma la nostra percezione degli oggetti e dello spazio, in un modo per noi consapevole e inconsapevole al tempo stesso. Non appena ho parlato a Vincenzo Castella di questo progetto, durante l'estate del 2008, ne è stato entusiasta.  A settembre dello stesso anno siamo andati insieme su per terrazzi di abitazioni che ne sovrastavano altre, per scale logore di campanili di chiese, evitando batacchi, reti metalliche e tiranti di acciaio, per “guardare” dall’alto i paesaggi deittici delle città, a riconoscere i segni delle affinità, delle mescolanze e delle dispersioni di identità. “Gli uomini non si accorgono di tutte le immagini contenute nelle città e non si accorgono completamente di quello che (in esse stesse) sta accadendo". Non c’è in Castella la libidine per l’architettura tautologica vista come “scatola magica” e messa lì in posa, pronta per essere fotografata. Lui stesso afferma che il suo interesse è rivolto alla città come “laboratorio”, alla forma del contenitore che presagisce il ritmo del contenuto. “L’aspetto della scultura, l’isolamento metaforico di un oggetto tridimensionale, non mi ha mai colpito particolarmente: mi interessa l’insieme, il passaggio, la cerniera, la dimensione transiente tra un oggetto e l’altro” Il suo sguardo indietreggia a comprendere un’immagine piena, stipata (penso ai paesaggi di Atene e di Genova, o a quelli di Amsterdam e di Ramallah, così come all’immobile percorso delle abitazioni di Polignano, Bitonto, Gioia del Colle, ...) a capire il linguaggio delle città, la percezione e la ragione di un luogo, senza il compiacimento del narciso. “Sospetto che non siano tanto le persone che cambiano le città, ma che esse stesse quasi automaticamente riescano a comunicare tra loro e ad assomigliarsi sempre di più. [...] Le città cambiano uniformando i loro aspetti senza l’intervento degli uomini, cambiando il sistema di relazioni, la soglia, la divisione, la somiglianza.” L’artista misura la città che si disegna, autodefinendosi, alle luci uniformi. “L’iperluce, una cosa che esiste, ma non viene da nessuna parte” provoca deboli ombre, forme intersecate di cromatismi che sempre più si assomigliano, di volumi e di simboli che si ripetono e si moltiplicano. Sempre attento a far collimare il paesaggio, facendolo transitare in una griglia, contenendolo in una sorta di paradigma eidetico, in un va e vieni di invisibile appercezione tra osservato e osservatore.


La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L’homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l’observent avec des regards familiers.
Comme de longs échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les parfums, les couleurs et les sons se répondent.


Castella oltrepassa il mondo inanimato dei coniugi Becker, a cui pure ha guardato con interesse, privilegiando le variazioni del “modello” là dove si sfalda, osservando sul grande vetro smerigliato i dettagli, le forme, l’effetto del passaggio, ma anche l’appiattimento e l’uniformità strutturale e cromatica, ricomponendo l’insieme che trasmigra, intero e fluido, all’apertura dell’otturatore, fino a impressionare il sensible side della pellicola. La città esiste perché, nella sensazione in atto, viene interamente percepita nella sua complessità, come entità misurabile e mutabile. Una metodologia già percorsa da Aristotele mediante l’utilizzo degli aisthémata e dei phantàsmata. I primi, gli aisthémata, sono l’insieme degli oggetti sensibili percepiti e i phantàsmata sono la rappresentazione iconografica degli oggetti nel nostro pensiero e quindi capaci di dotare l’oggetto stesso della percezione di un contenuto formale. Come più volte sostenuto da Castella, nelle sue fotografie la memoria sopravvive non come nostalgia del vissuto, ma in quanto immaginazione degli oggetti geometrici realmente percepiti, utile quindi a stabilire un medium tra intelletto e oggetti sensibili. In conclusione potremmo considerare le Fotografie di Vincenzo Castella non soltanto come opere d’arte, ma anche un potente medium della gnoseologia aristotelica.

Pio Meledandri Metropoli Terra di Bari – tradizione e innovazione - 2009 (Adda Editore)


1. Castella, V., dicembre 2006, Lotus International, n. 129.
2. Intervista a Vincenzo Castella in corso di pubblicazione in un volume di interviste su Architettura e Fotografia.
3. Castella, V., 2006, Paesaggio e sguardo, in Prospettive integrate. Il paesaggio tra estetica ed ecologia, a cura di Roberto Franzini Tibaldeo, cit., Medusa, Milano, pp. 64–65.
4. Castella, V., 2003, Photo works, intervista di Paola Tognon all’autore, Silvana Editoriale.
5. Baudelaire, C., in Correspondences, da Les fleures du mal. La natura è un tempio in cui viventi colonne lasciano talvolta sfuggire confuse parole; l'uomo vi passa, attraverso foreste di simboli, che lo guardano con sguardi familiari. Simili a lunghi echi, che di lontano si confondano in una tenebrosa e profonda unità – vasta come la notte e la luce – i profumi, i colori e i suoni si rispondono. Traduzione di Adele Morozzo Della Rocca, 1947, UTET, Torino.
6. Aristotele, 354 a.C., De Anima.


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CONVIVIUM. L’Arte come terreno fertile del dialogo e della convivenza religiosa

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Massimo Ruiu, Mare di Lacrime

‘CONVIVIUM’
L’Arte come terreno fertile del dialogo e della convivenza religiosa
16 aprile ore 19

Alla Fondazione Pino Pascali un importante progetto che racconta il dialogo tra le tre religioni monoteiste. Il 16 aprile alle 19 inaugura “Sotto lo stesso cielo”, una mostra che coinvolge gli artisti Massimo Ruiu (Italia), Zino (Italia), Boaz Arad (Israele), Takoua Ben Mohamed (Tunisia). La mostra sarà corredata di un fitto programma di incontri tra arte, food, costume, didattica all’insegna dell’intercultura.

Continua la programmazione della Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare per la primavera 2016, quest’anno all’insegna del dialogo tra discipline, culture, campi del sapere diversi, con una serie di appuntamenti che parlano di intercultura, coesistenza, tolleranza religiosa. Primo tra questi è Convivium, letteralmente “banchetto di sapienza”, un contenitore culturale che intende coniugare arte, cibo, religione e costume e che si declinerà in due sezioni: una mostra a cura di Rosalba Branà ed una vasta aerea dedicata a didattica e workshop a cura di Antonio Frugis.  La mostra intitolata “Sotto lo stesso cielo” si aprirà il 16 aprile alle 19 (fino al 15 maggio 2016) e metterà in dialogo artisti formatisi nelle aree delle tre religioni monoteiste: Massimo Ruiu (Italia), Zino (Italia), Boaz Arad (Israele), Takoua Ben Mohamed (Tunisia). L'elemento sacrale e religioso appare oggi al centro di molte ricerche di artisti contemporanei, il linguaggio dell’arte è in grado di abbattere le barriere ideologiche e culturali, avvicinando persone e popoli del Mediterraneo, preparando la strada ad un autentico dialogo. L’Arte intesa come linguaggio condiviso accresce la consapevolezza di una comune identità, premessa necessaria di una pacifica convivenza. Con queste premesse, Massimo Ruiu si confronterà con i simboli del cristianesimo delle origini, interpretando l’immagine cristologica del pesce e il concetto dell’accoglienza, tema quanto mai attuale. Zino partirà da immagini standard e riconoscibili da tutti, uomini delle tre fedi nell’atto di pregare, per realizzare un’opera interattiva da animare con l’ausilio dello smartphone. Chi non ha sognato di fare uno sberleffo a Hitler? L’artista israeliano Boaz Arad presenta un dissacrante e ironico video sulla figura di Adolf Hitler che trae ispirazione dalla celebre immagine di Duchamp, la Gioconda con i baffi, per mettere alla berlina l’inquietante immagine del dittatore che tante sofferenze ha causato al popolo ebreo; infine Takoua Ben Mohamed, giovane artista tunisina esponente di spicco del “fumetto interculturale”, riflette sul ruolo della donna e sui temi dell’integrazione.

Sezione didattica e workshop
A cura di Antonio Frugis, la sezione comprende un nutrito calendario di incontri riservati alle scuole al fine di analizzare il tema della convivenza tra popoli di appartenenza religiosa diversa.
Il primo si svolgerà l’8 aprile con Angelo Delli Santi che condurrà un work-shop teorico e introduttivo sulle regole alimentari e i dettami religiosi dedicato agli studenti dell’Istituto Alberghiero di Polignano.
Segue il 13 aprile Rita Faure, Storica del Costume, che con gli studenti del Liceo Artistico ”Luigi Russo” di Monopoli condurrà un workshop dedicato all’arte del tessuto. Saranno esposti abiti medioevali e costumi storici riferiti alla cultura araba, cristiana, ebraica. Pippo Moresca, artigiano figulo di Rutigliano, contribuirà alla sezione didattica rivisitando, secondo una sua personale ricerca, i simboli e la scrittura araba, ebraica ed occidentale, utilizzando la terracotta.
Il 16 aprile, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Sotto lo stesso cielo”, (alle ore 19), sarà presente il teologo Massimo Salani, autore del libro “A tavola con le religioni: Cristianesimo, Islam, Ebraismo”. Nella stessa occasione gli studenti dell’Alberghiero di Polignano a Mare offriranno al pubblico esempi di gastronomia legati alle tre culture rappresentate dal Convivium, con l’obiettivo di verificarne le differenze e le similitudini, i simboli e la storia.


Info:
Convivium: ‘Sotto lo stesso cielo’: Inaugurazione: 16 aprile alle ore 19
La mostra rimarrà aperta fino al 15 maggio 2016
Orario: dal martedì alla domenica ore 11-13 / 17-21. Lunedì chiuso.
Visite su appuntamento, tel 080.424.9534 -333.2091920
(La biglietteria chiude mezz'ora prima del museo - biglietto 2 euro più eventuali riduzioni a chi ne ha diritto).

FONDAZIONE MUSEO PINO PASCALI
VIA PARCO DEL LAURO 119 - 70044 POLIGNANO A MARE (BA) - PH/fax: +39 080 4249534
www.museopinopascali.it
segreteria@museopinopascali.it 

press: Santa Nastro +39 3928928522snastro@gmail.com 

Iginio Iurilli: la forma della memoria

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Iginio Iurilli: la forma della memoria
L’artista a Gioia del Colle per la rassegna “Come fiori”
di Giuseppe Scaglione

Brillante serata al Teatro Rossini di Gioia del Colle, il 14 marzo, per il ciclo “Come fiori”. Rassegna di arti visive realizzata da Palazzo Romano Eventi e da Sic! ProgettAzioni Culturali. Pierluca Cetera ed un raggiante Lucio Romano hanno presentato un ospite d’eccezione. Iginio Iurilli, accompagnato in conversazione da Christian Caliandro.

Esponente tra i più interessanti della scena italiana, Iurilli si è raccontato ripercorrendo le tappe della sua cinquantennale produzione. Un puntuale documentario ed una sequenza di immagini ne hanno definito il perimetro.
Straordinario l’esordio. Quando racconta di esser stato mandato a scuola d’arte perché, descrivendo alla madre le sue giornate di scolaro, tracciava nell’aria un gesticolare così espressivo e rotondo da essere percepito - a ragione - come propensione al disegno. Ricorrerà spesso il tema della levità, del caso, del quotidiano, nel corso della serata. Come a significare una condizione esistenziale dell’artista. Propria di chi potrà anche vivere, come ha dichiarato, le contraddizioni ed i malesseri del suo tempo, ma rimane saldamente ancorato a paradigmi e valori solidi, semplici e diretti.
Per questo di grande, spontanea potenza.
E va detto subito: ciò che di Iurilli colpisce ed affascina è proprio la capacità di coniugare questa innegabile potenza di segno, gesto e materia - sempre in bilico tra espressionismo, surrealtà e concetto - con una ludica gioiosità. Triangolazione che lo ha portato a lasciare la bidimensionalità della tela. Alla ricerca di un equilibrio in queste tre pulsioni. Che è riuscito a trovare, non senza fatica, entrando nella dimensione artistica che appare scultura. Ma che in realtà è sintesi di volumi e di visioni. Ove i vuoti contano forse anche più dei pieni. Dove lo spessore, la corposità, assumono significato. E poi con una poetica del colore che definisce e descrive le forme e la materia richiamando - persino quando presenta i rifiuti del mare - la surreale dolcezza che fu di Mirò. Altre volte i canoni classici dell’espressione. Oppure ancora il nitore formale del concettualismo. Ricchezza di linguaggi, quindi, di suggestioni. Senza dubbio maturata all’Accademia di Belle Arti di Roma. Vero crocevia di esperienze che con Toti Scialoja, insieme alla mitica Galleria Nazionale di Valle Giulia con Palma Bucarelli, porterà Roma a diventare cuore pulsante dell’arte e della cultura italiana. Ricchezza di linguaggi che non genera fughe parossistiche. Derive oniriche, se non deliri, che invece hanno afflitto ed ancora affliggono altre esperienze artistiche tendenti alla pluralità del linguaggio visivo. In perenne ricerca di identità. Iurilli invece, attraverso un lungo percorso che lui stesso definisce “dalla terra al mare”, arriva col tempo a realizzare il dono della sintesi. Un percorso dettato dal vissuto quotidiano. Ma non per questo banale. Anzi. La sua vera forza. Semplicità, potenza, gioia, redenzione. Come? Vediamolo, allora, questo percorso che Iurilli ha raccontato a Gioia del Colle. Vediamo come è arrivato alla sintesi. E non domandiamogli mai cosa sarà la sua arte, domani. Perché non lo sa neppure lui. È ancora in cammino. Con gli occhi del viaggiatore e la bisaccia colma.

Dopo Roma arriva a Bari da docente, all’artistico. Qualche scenografia per il Petruzzelli, il Piccinni. Poi la pittura. Si distacca subito dal solco della tradizione pugliese. D’altronde, ha studiato nello stesso luogo dove hanno studiato Pascali, Ceroli, Kounellis. E di quel luogo ha assorbito il fermento. Ovvio che non possa dipingere ulivi, muretti a secco, Piazza Sant’Oronzo o Corso Vittorio Emanuele. Dipinge ammassi di pneumatici usati, ondulati, quasi un paesaggio. Carcasse di automobili. Pittura dal segno vagamente iperrealista. C’è comunque il germe di un rapporto privilegiato con la materia che si svilupperà dopo. Qualcosa però lo ferma, nel ‘77. Forse le novità che tra Expo Arte e Galleria Marilena Bonomo sbarcavano a Bari. Forse recensioni di ritorno di critici ammessi ai palcoscenici d’oltrefrontiera, dove immense dinamiche ribollivano. Forse la necessità di rileggersi, per trovare linguaggi più coerenti alla sua poetica visiva. Comunque resta fermo tre anni. Non importa perché. Per un artista è una scelta intima, ed un critico non è un guardone. Quando riprende il cammino propone proiettili di carta, da cerbottana. Dimensioni maggiorate, colori ed interazione con telai metallici, che consentono l’osservazione policentrica o addirittura l’ingresso dello spettatore, richiamano il dinamismo dei giochi dei bambini. Ma vissuti da un adulto. La dolce, matura ingenuità del saggio Mirò che sa di essere stato bambino e che un po’ lo resterà per sempre, sembra rivivere in questi “scartucci” infilati nella rete. E come per il grande Maestro, anche per Iurilli non c’è la retorica della commozione. Solo la magia del segno. Puro e composto. Ma la materia freme tra le mani dell’artista. Preme per trovare il suo spazio. Nei primi anni ’80 appaiono teche di raspi d’uva rinsecchiti, intrecciati e colorati. Colori come i “fosfori canori” del Battello ebbro, linee aggrovigliate come nel dripping di Pollock. Raspi d’uva. Rifiuti. Non buttati via, però. Lasciati a stagionare, purgati degli insetti e dei batteri. Materia purificata. Come tale pronta per essere redenta. Dall’artista. Il cammino inverso a Burri. Nessuna sofferenza della materia. Ma redenzione. Memoria, nella celebrazione del rito della vendemmia, forse. Di cui i raspi rappresentano la continuità. Colorati. Perché nel colore è tutto. Il dubbio, la paura, la verità, la gioia.  Anche il “Mar morto”, tavola a cui fa aderire i rifiuti portati dal mare, colorati, e le lische dei pesci che l’artista ha mangiato, sono redenzione e gioia. Ed è ancora nel colore la gioia. La potenza è nel mito eterno di Gea. Poi ci sono spade e pugnali. Oggetti rozzi, primitivi. Silenziosi. Racconta Iurilli dell’epopea cinematografica di Conan il Barbaro. Ancora una volta il vissuto quotidiano. Il cinema, o la televisione che nelle nostre case ha proposto per anni quell’incrocio di fantasia e leggenda dalle lontane terre mongole. O dalla Terra di Mezzo. Il gesto dell’artista è catartico. Pacificatorio. Si sofferma. Su quello che rimane del grappolo, mentre i chicchi hanno forse generato libagioni. Sui rifiuti del mare, scorie del consumismo che non ha rispetto della natura. Sulle spade ed i pugnali inerti, che forse hanno dato la morte. Espressione armata delle umane passioni. Li raccoglie, li accarezza, li colora, li propone al pubblico. Redenti, quasi deificati come deificata vuole che sia la Natura.

Siamo arrivati al mare. Le forme marine non corrispondono al vero. Neppure lo imitano. Non c’è il “verosimile”. C’è un uomo artista che ha aperto gli occhi nel mare, con maschera e pinne. E ricorda. Si sa, la memoria conserva le grandi linee, non i dettagli. Così i dettagli li crea. Ne crea la forma.
La forma della memoria.
Che dilaga. Anche nella gioia della materia. Nelle stanze con il pavimento coperto di sale. O di sabbia del deserto. Memoria allo stato puro. Accogliente. Perché dentro questa visione lo spettatore può metterci tutto quello che ha di suo. La sua memoria. Con razionalità o emozione, non importa. Ma non basta. L’uomo ha inferto alla natura ferite profonde. Iurilli non lo sopporta. Con lo stesso spirito di tutti noi da bambini, quando eravamo per Ettore, non per Achille, l’artista è per la natura. Anzi, la Natura. Maiuscola. Agli spettatori di Gioia del Colle ha chiesto di sposare la causa di chi vuole fermare le trivelle. Col cuore. Perché Iurilli è uomo di cuore. Allora queste forme ipertrofiche altro non sono che la Natura che reagisce all’insulto dell’uomo. “Ora ti faccio vedere io”, dice il megariccio. Quasi come in un fumetto per bambini. Ma non c’è niente di banale. È fiaba. È poesia. Così, lo ringraziamo con dei versi. Di una poetessa siciliana, Eleonora Scarpitta.


“Che il cammino ti sia lieve
e se questo non potrà essere,
che tu possa trovare sempre
altre scarpe amiche che
possano sostenerti.”


Le scarpe dell’arte, Iginio. Buon viaggio.



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INCHIOSTRO DI PUGLIA 2016: SAVE THE BEAUTY | Con la Cultura si mangia

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INCHIOSTRO DI PUGLIA 2016
SAVE THE BEAUTY | Con la Cultura si mangia
24 aprile 2016
Notte di Inchiostro di Puglia | TARANTO
PREMESSA

[…] Dopo il grande successo dello scorso anno, quando 100 "Fortini Letterari" hanno ospitato oltre 400 Eventi letterari, torna "La notte di Inchiostro Di Puglia". Per una serata le librerie, i caffè letterari e le sedi associative dislocate in ogni angolo della Puglia si trasformeranno in“Fortini letterari ”. Grazie a una miriade di eventi (presentazioni libri, reading, spettacoli e gruppi lettura) che si terranno in simultanea, la Puglia che “resiste” che crede nel valore della lettura/cultura potrà ritrovarsi
fisicamente (e virtualmente) stretta da un abbraccio grande quanto una regione. Una rivoluzione culturale che parte dal basso, che parte da Sud e che vuole dimostrare a tutti come la regione che secondo le statistiche legge meno, in una nazione che legge poco, possa ritrovarsi intorno alle parole, alle idee e alle lettura. Tutto nasce dal blog letterario Inchiostrodipuglia.it che due un anni di vita è riuscito a creare intorno a sé una rete di fatta di Librerie/Associazioni Culturali/Autori ma soprattutto di Lettori. Grazie ad un entusiasmo contagioso il blog Inchiostrodipuglia.it, nato con lo scopo di disegnare la mappa letteraria della Puglia, è uscito dal web dando vita ad un vero e proprio Movimento Culturale. […]
Il 24 Aprile. Spegni la Tv e vieni in libreria!

Queste le parole e lo slogan che il sito internet di Inchiostro di Puglia reciterebbe nel presentare l’Evento. Ed è a queste parole che il FORTINO DI RESISTENZA CULTURALE n. 69 di Taranto si aggancerebbe, rilanciando una propria sfida culturale del 2013, e sposando quella di Inchiostro di Puglia. Una sfida nella sfida, quindi.
PROGETTO
Per l’Edizione 2016 di Inchiostro di Puglia, il Fortino Letterario n. 69 di Taranto chiama a raccolta attorno ad un unico progetto culturale condiviso di stimolo alla lettura, in primis, e, in maniera più ampia, di valorizzazione del territorio, tutte le associazioni, operatori del settore, realtà gravitanti attorno ai valori della conoscenza e cultura a 360°. Una “Chiamata alle Armi della Cultura e della Bellezza” dove la Cultura (e la Lettura, nello specifico) scenda in campo per affermare se stessa quale strumento necessario di arricchimento intellettuale, morale e sociale, ma anche potenziale alternativa di economia per un intero territorio, traino per una più generale riconversione strutturale.
Titolo scelto per l’operazione è “SAVE THE BEAUTY | Con la Cultura si mangia”, riprendendo un’operazione culturale ed artistica lanciata nel 2013 da ROSSOCONTEMPORANEO, nella quale si affermavano le necessità di una nuova primavera socio-culturale e di prospettive economiche ecosostenibili. Arte-Cultura-Società-Imprenditoria in una sinergia forte, nuova. Questo per Taranto, ma il problema serio è poter dimostrare che in Italia, quanto i Valori della Cultura siano necessari e capaci di stimolare processi virtuosi di nuova ricchezza a 360°.

Per approfondimenti su SAVE THE BEAUTY 2013: http://savethebeauty.wordpress.com
Il Progetto “SAVE THE BEAUTY – Con la Cultura si mangia” vedrà coinvolgere il territorio a diversi livelli:
1- Da una parte e in primis i luoghi istituzionali - librerie, biblioteche e sedi associative - sedi tradizionalmente ed istituzionalmente deputate alla promozione della cultura, o nello specifico della lettura;
2- Dall’altra - pizzerie, ristoranti, pub, birrerie, osterie, e più in generale ogni luogo di ristorazione - proprio per strutturare con forza simbolica l’assunto di partenza del Progetto, “Con la Cultura si mangia”. Location alternative e concettualmente provocatorie che per una sera vorranno “intrattenere” la propria clientela, rendendola direttamente partecipe e protagonista di letture condivise di brani letterari e poetici, o interventi musicali e performances recitative. Il tutto, naturalmente, durante la cena;
3- Infine, i nostri salotti, domestici luoghi di cultura, dove poter invitare amici, parenti, ospiti più o meno illustri. Tra una tazza di caffè e un aperitivo, la lettura di testi e poesie, la discussione sui temi ampi della Cultura, troveranno una più intima piacevolezza. Una nuova ed inattesa condivisione, tornando a metodi antichi di scambio, di confronto. Ricchezza del calore umano, della presenza fisica.

CON LA CULTURA SI MANGIA …e SI PUO’ MANGIARE ANCHE FACENDO CULTURA.
Perché la Cultura può essere ovunque e può “non disturbare”. O forse no? Porteremo un libro in ogni pizzeria, in ogni locale, dove ad ogni boccone si possa unire la lettura di una frase. Uniremo i piaceri,facendo di questa serata, una serata speciale, unica, ma anche surreale. Da un lato, il classico appuntamento tra amici, dello stare insieme, dall’altro (magari filmando l’imbarazzo e lo svilimento di momenti “alti”) la possibilità di dimostrare proprio quanto sia difficile fare cultura oggi, in Italia.
Leggere mangiando, a bocca piena, regalerà scenari paradossali, buffi, impacciati, quasi a mortificare e sminuire la stessa cultura. E sarà così che nasceranno riflessioni in merito alla questione. Quanto è “ingombrante” la Cultura? Può essere ovunque la Cultura? Può creare piacere inatteso? Potremo anche creare imbarazzo, potremo correre sul filo pericoloso di una caduta di stile, ma è questo ciò che si avverte quotidianamente: una caduta di stile e la perdita di valori alti di Bellezza, appiattimento e consapevolezza di una mediocrità sempre più dilagante.
La Cultura, pare sia passatempo per annoiati. La Cultura è evitabile. E’ superflua.
Una serata tra provocazione e convinzione che fare Cultura sia alla portata di tutti e che possa essere momento di incontro ed incrocio, di condivisione di esperienze ed emozioni. Momenti di aggregazione nei quali poter eventualmente mixare liberamente esperienze di Bellezza diverse: lettura – fondamentale, in primis, in quanto la serata è istituzionalmente dedicata alla diffusione ed incremento della Lettura – ma anche canto, recitazione, esibizioni varie.
Si leggerà mangiando, o si mangerà leggendo, a seconda del peso interpretativo di ciascuno di noi.
COMUNICAZIONE E PUBBLICITA’
La grafica scelta per la comunicazione è manifesto del lo spirito con il quale i Fortini letterari n. 69 si appresterebbero all’Appuntamento del 24 aprile di Inchiostro di Puglia. Il “Progetto per l’ampliamento della Biblioteca Nazionale” (1780) dell’architetto Étienne-Louis Boullée, è una rappresentazione della cosiddetta “Architettura Rivoluzionaria” o “Architettura Visionaria”, di cui, insieme a Claude-Nicolas Ledoux, fu tra i rappresentanti più influenti e rappresentativi. Corrente architettonica alla vigilia della Rivoluzione francese, nella quale si intendeva affermare l’esigenza morale di una nuova società, caratterizzandosi, sul piano formale, attraverso l'alterazione del repertorio dell'antichità classica, e assumendo, nel contempo, un'intensa valenza etica ed evocativa, dai decisi slanci utopici, simbolici e visionari. E il concetto di “società nuova”, di “cultura nuova ed aperta”, ritorna.
Ogni Fortino Letterario che aderirà all’iniziativa “SAVE THE BEAUTY | Con la Cultura si mangia”, vedrà una propria locandina personalizzata e di appartenenza al circuito. Ogni Fortino Letterario sarà presente per due mesi all’interno del sito/blog dell’Evento, con Logo di riferimento, link dell’associazione o attività, con i nomi dei partecipanti e con relativo programma previsto per la Notte di Inchiostro di Puglia.
Anche nella comunicazione, quindi, sarà ben visibile la volontà di esserci e di far parte di una ipotetica ed ottimistica Nuova Primavera Culturale. L’idea parte da Taranto, ma non resta esclusiva riflessione per questa città. Che la NUOVA PRIMAVERA possa essere nuovo stimolo, ripartenza, per Taranto, per il suo territorio. Ma, che simbolicamente – e non solo – s’inneschino momenti di riflessione seria su problematiche socio-culturali ed economiche per questa Nazione. Taranto, per vicende recenti e note in tutta Italia, funga da motore propulsore, ma che la Primavera s’intenda per l’Ovunque.

COME SI PARTECIPA
Partecipare alla Notte di Inchiostro di Puglia è semplice.
1- Vai sul sito di Inchiostro di Puglia: http://inchiostrodipuglia.weebly.com; 2- Clicca sulla pagina del Menù (in alto) – NOTTE IDP 2016; 3- Clicca su “Modulo Iscrizione FORTINO LETTERARIO”; 4- Compila ogni parte del form d’iscrizione con i dati della tua associazione, libreria, attività; 5- Descrivi in breve il tuo evento/appuntamento; 6- IMPORTANTE - Ricorda di inserire come titolo “SAVE THE BEAUTY – Con la Cultura si mangia”, nella casella “Breve descrizione dell’Evento Letterario proposto”, prima della eventuale descrizione dell’evento previsto; 7- Comunicaci la tua iscrizione con i tuoi dati e ti inseriremo nel Circuito di SAVE THE BEAUTY 2016. Il sito ti aspetta!!
100 Fortini Letterari SAVE THE BEAUTY Due mesi di tempo per costruirli
E NOI CI SAREMO!

Angelo Raffaele Villani ROSSOCONTEMPORANEO


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Bobby Dowler, Girolamo Marri, Antonello Scotti

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Antonello Scotti - Installation view

La galleria Dino Morra è lieta di presentare la prima di un ciclo di mostre con tre artisti: Bobby Dowler, Girolamo Marri, Antonello Scotti.

Bobby Dowler: L’œuvre: A Question of Form and Necessity
Girolamo Marri: Good Reasons Not to Understand One Another (Buone ragioni per non capirsi)
Antonello Scotti: Fondaco

Dal 12 febbraio al 1 aprile 2016


I lavori presentati in L’œuvre: A Question of Form and Necessity – di Bobby Dowler, per la prima volta a Napoli, nel Floor Space della galleria, a cura di Mike Watson, consistono in materiali assemblati dall’artista (nato in GB nel 1978, vive e lavora a Parigi) a partire da telai in legno e tele dipinte, il cui acquisto e la prima lavorazione in alcuni casi è iniziata svariati anni fa. Le tele recuperate sono lacerate, strappate e rivoltate, in un apparente tentativo di sovversione e di entrata nel medium della pittura stesso. Nel 1885 Emile Zola scrisse L’œuvre, un libro basato sulla vita del suo amico Cezanne e del circolo di persone che lo circondava, raccontando lo squallore in cui vivevano quei giovani artisti mentre sviluppavano il loro stile rivoluzionario, che più avanti il critico Roger Fry denominò Post Impressionismo. Resoconti delle vite dei giovani pittori nell’Europa del ventunesimo secolo sono rari, ciò nonostante è certo che le esigenze della vita quotidiana influenzano materiali, metodi e prodotti finali degli artisti, oggi non meno che allora.

Nell’ Underground Space della galleria, Girolamo Marri (Italia, 1980) presenta Buone Ragioni per non Capirsi, anch’essa curata da Mike Watson. Sviluppando ricerche preesistenti svolte a Londra, Shangai e New York, Marri indaga la relazione duale che intercorre sia tra oratore e ascoltatore, che tra contenuto e contesto. La sua installazione, composta da sette leggii e accompagnata da una performance, illustra il modo in cui, nonostante tutti gli sforzi, parte del contenuto di una lezione o di un seminario, venga sempre perduta o mal indirizzata. Marri astutamente identifica tutte quelle distrazioni che sicuramente intervengono non appena un certo numero di persone si riunisce per ascoltare qualcuno parlare: rumori di sottofondo, distrazioni personali, attrezzature difettose, credenze religiose, umori, condizioni atmosferiche, attrazioni sessuali, dipendenze, educazione, temperatura della stanza, assenza, incapacità di concentrarsi, cattivo udito o vista, mancanza di interesse o di capacità oratorie, mancanza di motivazione, etc… Sopratutto Marri riesce a rivelare quella goffaggine insita nel cuore delle relazioni sociali che generalmente rimane indiscussa.

Nello Studio Space della galleria è in mostra l’artista napoletano Antonello Scotti, come parte di una serie di progetti sulla città di Napoli, selezionati dal gallerista Dino Morra. Fondaco è un percorso visivo il quale accerta la fisicità di un luogo. è una stiva di memorie, di esperienze umane, etiche, dove la responsabilità di colui che agisce, è remota, arcaica. l’opera ha poco di creativo, poco di estetica: guarda all’esistenza e al suo manifestarsi. l’opera, qui, traccia un accaduto, uno svolgersi di avvenimenti che si succedono in spazi circoscritti, come possono essere un tavolo, un letto. spazi – luoghi in cui il corpo dell’altro, il nostro corpo, il corpo delle nostre nascenze, è un evento quotidiano, che ci modifica per darsi in forma di situazioni. la ‘situazione’, qui appena accennata, è solo un respiro, un movimento pneumatico ed uno spostamento, movimento cinetico, ambedue appartenenti a quello strano accadere che nella lingua italiana abbreviamo in ‘vita’. “Fondaco” si ingabbia in un obitorio della visione.


Bio Artisti:
Bobby Dowler vive e lavora a Parigi. E’ nato a South London nel 1983. E’ stato in residenza alla Villa Lena Foundation, Toscana (2014). Ha co-fondato il Fokidos artist project space ad Atene nel 2013, una pubblicazione di poesia sperimentale, Friary Road House, a Londra nel 2011 e Lyndhurst Way nel 2006. La Hannah Barry Gallery e il progetto Bold Tendencies, sono entrambi nati a partire da Lyndhurst Way. Dowler ha recentemente esibito I propri lavori ad Atene (Fokidos), New York City (Shoot the Lobster/Martos Gallery), Brussels (Middlemarch) e Londra (Bold Tendencies) e alla galleria Hannah Barry.

Girolamo Marri (nato a Roma nel 1980), ha conseguito un MA in Sculpture and Performance al Royal College of Art di London e ha vissuto e lavorato tra Europa e Asia a partire dai primi anni 2000. Il suo lavoro è stato esposto in istituzioni pubbliche e private, tra le quali firstsite, the Showroom e Matt’s Gallery in Inghilterra, Zendai MOMA, la Shanghai Gallery of Art e BANK in Cina, al NASA/Smart Project Space in Olanda e Pierogi Boiler negli USA. In conferenze che non iniziano mai, in agitate conversazioni di gruppo, in interviste silenzionse, in testi pensati per essere eternamente rimaneggiati, in sculture effimere, e in qualsiasi interazione inquietante, combina nella sua ricerca performativa la raccolta, la produzione e l’alterazione di oggetti, testi e spazi.

Antonello Scotti (Pozzuoli 1961). Vive e lavora a Napoli. personali: 1997, galleria Alfonso Artiaco – Pozzuoli (Na); 1996 Opificio Arte Contemporanea (con Giuseppe Caccavale), Benevento; 1992 Galleria Alfonso Artiaco Pozzuoli (Na); Collettive 2014: “Manifesto” Officina Arti Contemporanee Frattamaggiore (Na), “Cento stanze, in cento anni” art hotel gran paradiso, S. Agnello (Na), “Rewind” arte a napoli 1980 – 1990 Napoli; 2005 “I cortili dell’arte” Villaricca (Na) ; “Carta bianca”, galleria le nuvole, Montesarchio (Bn); 2003“Galleria Alfonso Artiaco Pozzuoli (Na); 2006 “Il corpo sognato” Musei Civici di Como; 1994, “Naked City”, Galleria Massimo De Carlo, Milano.

Dino Morra
P.za E. De Nicola, 46 | Interno Ex Lanificio, 59
Porta Capuana | 80139 Napoli
f + 39 081 18745462 | m +39 392 4100522

 
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Veronica Montanino. It’s a wonderful world

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VERONICA MONTANINO
IT’S A WONDERFUL WORLD

18 MARZO – 22 MAGGIO 2016
MUSEO MARCA CATANZARO Via A. Turco n. 63


Dedita alla pratica del camouflage e del remix, Veronica Montanino corteggia la mimicry e l’ilinx, la maschera e la vertigine, invi- ta al capogiro, all’allucinazione e al disorientamento. Niente bussola nei paesaggi che l’artista propone: alto e basso spariscono, figura e sfondo giocano a rimpiattino in una superficie stratificata dove ciò che esce dalla macchia per farsi figura, o lascia il colore per farsi forma, subito si perde col sopraggiungere di un nuovo livello. Ginnastica della visione che produce miraggi e al tempo stesso nasconde, maculando, striando, zebrando, ocellando ciò che per un attimo appare familiare, ma non lo è.
Oltre sessanta tra quadri di grande formato, assemblaggi e installazioni site specific le opere che il Museo delle Arti di Catanzaro propone per la personale dell’artista, sotto il titolo “It’s a wonderful world”, mostra a cura di Giorgio de Finis e Simona Gavioli. Un viaggio a testa in giù che è lungi dall’essere una fuga nel fantastico, il giro di giostra di un colorato paese dei balocchi alla ricerca di un’infanzia irrimediabilmente perduta, una ipnotica seduzione pop che dispensa facili paradisi artificiali. Tutto questo, la fantasia, il colore, l’artificio, la seduzione sono qui “rivoluzione”, gli strumenti che Veronica Montanino sceglie per ripensare paradigmi sclerotizzati e approdare ad una nuova ecologia della mente.
Il mondo non è bello, ma chi ha detto che non può diventarlo? Cosa ci impedisce di vederlo e conformarci a questa visione? Se la realtà delle cose è dolore, sopraffazione e rovina, allora, dice l’artista, questa realtà va reinventata, rovesciata, ridisegnata. E nessun può farlo meglio dell’arte, che è pratica di ribellione allo status quo. Dopo migliaia di anni di monoteismi sanguinari e pensieri filosofici nichilisti, che hanno decretato le ingiustizie “insanabili” - in quanto connaturate alla condizione umana, poco importa se in ragione di cadute o evoluzioni incompiute - l’artista invita ad abbandonare una volta per tutte le antropologie negative e a riguadagnare, necessità socio-politica, l’immagine iridata e vitale di un mondo nuovo.

Inaugurazione: venerdì 18 marzo 2016 ore 18.30

Conferenza stampa: ore 18.00 sala panoramica museo Marca

Orario
Tutti i giorni 9.30-13.00 / 15.30-20.00 Lunedì chiuso

Sede espositiva
MUSEO MARCA DI CATANZARO Via Alessandro Turco, 63

Per informazioni
T.0961746797 www.museomarca.info info@museomarca.info
Tariffe ingresso mostra
Biglietto intero euro 4,00
Biglietto ridotto euro 3,00


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Fabio Salafia. Le Geografie del cuore

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Melanconia e farfalle, 2016


IN MOSTRA A ROMA
DAL 18 MARZO ALLA GALLERIA ACQUARIO ARTE CONTEMPORANEA

Vernissage venerdì 18 marzo 2016, ore 18.30
Galleria Acquario Arte contemporanea
via Giulia 178, 00186 Roma



Ingresso libero
Aperto tutti i giorni dalle ore 16.00 alle 20.00
Mattina per appuntamento. Lunedì chiuso

La mostra permarrà fino al 16 aprile 2016

Approda a Roma l’intensa personalità del pittore siciliano Fabio Salafia, con una preziosa mostra allestita presso la Galleria Acquario Arte Contemporanea, con una cura critica affidata ad Elisa Mandarà.  La personale Geografie del cuore, costituita da una corposa silloge di oli di diverso formato, costituisce il trasferimento della più recente esposizione dell’artista, ospitata lo scorso agosto presso il suggestivo Castello di Donnafugata, nei pressi di Ragusa, rispetto alla quale mostra, questa nuova occasione espositiva dell’artista presenta anche lavori inediti.  Pittore tra i più apprezzati tra le nuove voci dello scenario artistico italiano, Fabio Salafia intraprende il cursus espositivo nel 2002, che si dispiega in seno a mostre collettive, oltre cento, nel territorio nazionale, quindi in una collana di personali, la cui prima, Equazioni visive, viene ospitata dalla Galleria degli Archi di Comiso ed illustrata da un catalogo, in cui la prefazione porta la prestigiosa firma di Piero Guccione.  Sul piano tematico e stilistico, Salafia avvia il suo percorso da una ispirazione fondamentalmente paesaggistica, ma vissuta in una originale soggettività delle percezioni e della restituzione della natura. Pur mantenendo un costante riferimento al reale, condotto in una sofisticata rete di analogie col vero naturale, l’artista porta avanti un discorso che investe parimenti sui valori pittorici dell’opera. Nell’affrontare quello che a un primo sguardo potremmo valutare come paesaggismo, Salafia si allontana dalla figurazione tout court, come scrive Elisa Mandarà nel testo critico che accompagna l’esposizione, «per dare forza al segno e al gesto, al punto tale che l’energia del suo gesto e del suo segno diventa la struttura portante della sua opera. Il paesaggio di Salafia – continua il critico d’arte – è dunque parafrasi di natura, è uno spazio verosimile concepito essenzialmente come luogo evocativo di regioni intime. È un guardare nuovo, che nulla ritiene del calco fotografico ai luoghi cari, amati nelle loro vibrazioni ctonie, sedimentati in un compendio caleidoscopico di immagini, introiettate dal cuore, quasi in autonomia dalla vista e profuse sulla tela, in spargimenti lirici e pittorici». Da qui il titolo della mostra, Geografie del cuore, che, ponendo l’accento sul valore di traduzione d’una emozione che si propone il pittore siciliano, non ne vuole celare la fine cultura figurativa, forte di studi specifici su maestri senza tempo come Leonardo da Vinci, Charles Le Brun, Cartesio. È dunque un viaggio, quello di Fabio Salafia, che addita, quale meta ultima, all’anima, al nucleo caldo delle cose naturali e delle cose dell’uomo, in un discorso stilistico finissimo, che percorre con sapiente equilibrismo il difficile confine tra figurazione e volontà d’astratto, con una tenace attenzione alle fascinazioni sprigionate dalla consapevole amministrazione della materia pittorica.

Fabio Salafia, Cenni biografici
Fabio Salafia nasce nel 1979 a Grammichele, in provincia di Catania. La sua vocazione artistica è testimoniata dal percorso di studi, l’Istituto Regionale d’Arte “Raffaele Libertini” di Grammichele, dove consegue la maturità in Design Architettura e Arredamento, e l’Accademia delle Belle Arti di Catania, dove si laurea nel 2004.  Fin dai primi lavori, si profila l’interesse fondamentale del pittore per il paesaggio, affrontato nel tempo con diverse tecniche, l’olio, il pastello, l’incisione, e indagato nella soggettività delle percezioni della natura, come essenziale traduzione d’una emozione. Le chiavi d’accesso all’universo pittorico di Salafia vanno infatti ricercate proprio nelle regioni stratificate dell’io

Sul sito dell’Artista, la rassegna completa delle esposizioni, personali e collettive.
Tra i numerosi riconoscimenti ottenuti negli anni, segnaliamo: 4ª Biennale Internazionale di Pittura, Premio Felice Casorati, Pavarolo (To); “Concorso internazionale di Pittura Giuseppe Gambino 2015”, Chiostro della Chiesa di Madonna dell’Orto; Premio Nazionale delle Arti, edizione 2005; Museo degli Strumenti Musicali, Roma, 2006; 20x20, Galleria Beukers, Rotterdam (Olanda); 2004; 8ª edizione Prima Parete in Concerto, Complesso Le Ciminiere, Catania; Cantieri Culturali Zisa, Palermo; Il Cantico dei Cantici, Palazzo della Signoria, Jesi (An).2005; 2007 Premio terna 01, Roma (sez. online), 2007; Dell'amore, il canto; 2ª edizione La terra ha bisogno di uomini , Reggia di Caserta, 2009; 47ª biennale Mostra nazionale di pittura contemporanea, Santhià (Vc). Del 2010 è Aspetti di Arte astratta nella raccolta "Fiocchi", Palazzo Forte Malatesta, Ascoli Piceno, che ospita, assieme a Salafia, artisti del calibro di Accardi, Balla, Calabria, Festa, Capogrossi, Schifano, Fontana, Burri.

Tra le numerose opere, menzioniamo il polittico A San Sebastiano, destinato alla Chiesa di San Sebastiano di Palagonia (CT), esitato nel 2007.  Tra le voci critiche che hanno scritto di Fabio Salafia citiamo Paolo Nifosì, Piero Guccione, Francesco Brancato, Armando Ginesi, Valentina Falcioni, Riccardo Passoni, Tiziana Rasà, Giuseppina Radice, Paolo Giansiracusa, Marco Di Capua, Sebastiano Gesù, Elisa Mandarà.

L’artista vive e lavora a Grammichele.

Dal testo critico Geografie del cuore di Elisa Mandarà
«Sono anfratti nascosti tra la verdura viva del giardino, mantecate caligini che s’allargano sopra distese di aria e acqua. Sono cromie fredde che dilatano malinconie lungo sentieri inventati sopra una prospettiva che onora il canone, divergendone con la personalità pittorica, sono mondi paralleli. Sono tripudi festosi di colore, dosati dinamicamente in una pittura d’azione, dove c’è la gamma floreale di nuance aperte e dove è contemperato il bitume definitivamente nero, punto di forza tra sinestesie e dissolvenze. Stilemi che toccano e fuggono tentazioni surrealiste e che sono sempre allusivi di geografie del cuore. Plaghe evanescenti tagliate dalla lama luministica centrale, che abbisognano del riconoscimento d’un orizzonte, verità visiva e al contempo puro pretesto di vero, che accontenta esigenze estetiche.  Nell’universo altro di Fabio Salafia il paesaggio si specchia nella sua doppiezza, in ambivalenze che sono comportate dalle infinite individuali percezioni della natura, in vedute che sollecitano intime inebriazioni, che conoscono un elegante tonalismo, in uno splendido estro spaziale e compositivo, che abbraccia la felicità edenica – talora inquietata da scure presenze alate – o che sa liquefare la veduta nella macchia polisemica. […] Potremmo tracciare una nutrita costellazione di ascendenze e contiguità, nell’opera di Salafia, anzitutto sensibile alle indagini dell’Informale. Lo attesta l’elaborazione dell’olio sul quadro, assunto e trattato nelle sue qualità specifiche, visive e tattili; la materia satura completamente il quadro, divenendo in sé immanenza di luogo, stagliandosi dalla superficie in ictus compositivi che amano il grumo e la pasta alta, senza sterili compiacimenti, ma col senso equilibrato del ricercato accento, desiderato dalla composizione. Potremmo collocare, tra gli antecedenti significativi del lavoro di Salafia, la Nuova Figurazione, per la tensione alla conciliazione delle istanze del realismo con un linguaggio pittorico contemporaneo e, per altri versi, la Nuova Pittura, anche per la concentrazione della ricerca sul colore, in quanto sostanza fenomenica della pittura, o per il controllo del gesto pittorico. O anche – parliamo qui di linee ideali – la tensione compositiva del gruppo CoBrA, quando Salafia, in brani importanti delle sue opere, pare fornire materia e linguaggio alle sollecitazioni profonde dell’io. Il suo specifico appartiene però più propriamente a quel ritorno alla pittura che contrassegna il cosmo creativo di tanti artisti che operano negli anni Ottanta e il cui iter creativo perdura a oggi. Un parallelismo più visibile potremmo rintracciare rispetto alla cifra di pittori magistrali quali Anselm Kiefer, Peter Doig (tangenze tra Salafia e Doig erano state già lucidamente rilevate da Marco Di Capua), Howard Hodgkin, artisti tutti, i quali, salve le reciproche indipendenze, hanno cavalcato la linea di demarcazione tra astrazione e figurazione, dando voce prioritaria a situazioni emozionali, attraverso l’altezza di un discorso squisitamente pittorico».


L’Addetto Stampa
Delia Celesti

Fabio Salafia | Geografie del cuore
Testo critico: Elisa Mandarà


Roma, 18 Marzo |16 Aprile 2016
Galleria Acquario Arte contemporanea
Via Giulia, 178 Roma

Inaugurazione venerdì 18 marzo ore 18.30


Ingresso libero
Aperto tutti i giorni dalle ore 16.00 alle 20.00
Mattina per appuntamento. Lunedì chiuso


tel. 06 64 76 03 53 – www.galleriacquario.it // www.fabiosalafia.com

Come raggiungerci: Linea tram 8 (via Arenula) // Stazione taxi: Largo Argentina //
Parcheggio più vicino: Lungotevere dei Tebaldi


UFFICIO STAMPA – ROMA
Caterina Falomo





pubblica:

La sfida di Aracne - Riflessioni sul femminile dagli anni ’70 a oggi

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 Mariella Bettineschi. La vestizione dell'angelo, 1996


La sfida di Aracne - Riflessioni sul femminile dagli anni ’70 a oggi
a cura di Angela Madesani
NUOVA GALLERIA MORONE, Via Nerino 3, Milano
31 marzo | 13 maggio 2016
Inaugurazione: 31 marzo, ore 18
Orari: martedì – sabato, ore 11 – 19

Artisti: Mariella Bettineschi, Louise Bourgeois, Silvia Celeste Calcagno, Daniela Comani, Bruna Esposito, Inés Fontenla, Nan Goldin, Meri Gorni, Rebecca Horn, Julia Krahn, Maria Lai, Chiara Lecca, Annette Messager, Shirin Neshat, Gina Pane, Cindy Sherman, Chiharu Shiota, Fausta Squatriti


Nuova Galleria Morone presenta La sfida di Aracne Riflessioni sul femminile dagli anni ’70 a oggi, curata da Angela Madesani. Da sempre, le donne sono state considerate le fedeli rappresentanti della Terra, nostra Madre Natura e origine feconda. Intuitivamente percepiamo questa analogia come vera, come qualcosa che incarna una realtà evidente e ci parla direttamente dell’Essenza del Femminile… Un’esposizione complessa, che indaga i diversi linguaggi della contemporaneità artistica attraverso il lavoro di 18 artiste. La rassegna, che prende in esame oltre quarant’anni di storia dell’arte, non deve essere intesa come una collettiva con i lavori di sole donne, ma come una riflessione sul lavoro di artiste che hanno indagato approfonditamente il tema in oggetto. Dai lavori di Body Art di Gina Pane a Louise Bourgeois, che ha fatto, nel corso degli anni, di questo tema il fulcro della sua ricerca. In mostra saranno i lavori di alcune delle più importanti protagoniste dell’arte internazionale da Annette Messager a Rebecca Horn, da Cindy Sherman, Shirin Neshat, Nan Goldin a Bruna Esposito, che ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1999. Una particolare attenzione sarà riservata a Maria Lai, una delle più intense artiste italiane della seconda parte del XX secolo, rappresentata dalla galleria, come pure Daniela Comani, che da oltre venticinque anni vive e lavora a Berlino e che si occupa di tematiche legate alla cultura di genere. Sono presenti opere di artiste di diverse generazioni, che hanno posto la loro attenzione su questo tema da Fausta Squatriti a Mariella Bettineschi ( con l’opera La vestizione dell’angelo del 1996), all’argentina Inès Fontenla, a Meri Gorni, il cui lavoro si pone a cavallo fra arte figurativa e letteratura, alle più giovani Chiara Lecca,Chiharu Shiota, Julia Krahn e Silvia Celeste Calcagno, vincitrice del Premio Faenza nel 2015. Il progetto deve essere inteso come dialogo tra i vari linguaggi espressivi della contemporaneità. Il titolo della mostra presenta un chiaro riferimento di natura mitologica, ad Aracne, abile tessitrice e ricamatrice che, conscia della sua bravura, ebbe l’ardire di sfidare la dea Atena in una pubblica gara. Un’ambiziosa e vittoriosa sfida, simile a quella proposta dalle artiste del mondo occidentale dal dopoguerra in poi, desiderose di conquistarsi un loro ruolo, ben al di là dei coercitivi limiti a loro attribuiti dalla società e dal mondo dell’arte sino a quel momento.

via Nerino n°3, 20123
Milano - Italy
T. 02 72001994
F. 02 72002163
info@nuovagalleriamorone.com





OPENING TIMES
september | april
tuesday - saturday
11.00 - 19.00

may | april
monday - friday
11.00 - 19.00

pubblica:







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